TUTTI NON CI SONO- group show
TUTTI NON CI SONO
a group painting show
curated by
Milena Becci & Leonardo Regano
28 September – 30 November 2019
Opening Saturday 28 September – time 19:00 / 21:00
Traffic Gallery è orgogliosa di presentare TUTTI NON CI SONO, una mostra collettiva dedicata al mezzo pittorico con artisti facenti parte di tre generazioni diverse. Uno sguardo sulla pluralità del mezzo pittorico contemporaneo affrontato con modalità, sfumature ed esiti spesso distanti tra loro. Nove è il numero degli artisti partecipanti (ordine alfabetico) :
Alice Faloretti (1992), Alessandro Gioiello (1982), Daniele Di Girolamo (1995), Beatrice Meoni (1960), Enrico Minguzzi (1981), Ettore Pinelli (1984), Amandine Samyn (1978), Francesco Zanatta (1989), Maria Giovanna Zanella (1991)
Il numero Nove, nel suo significato alchemico di ritorno alla matrice, simboleggia l’opera al nero, la fase della dissoluzione che precede la nuova nascita. Dissolvere per cancellare e per poi nascere, anzi rinascere. Nel collegamento tra i vari significati simbolici, mistici, religiosi, metaforici che il numero Nove assume all’interno della numerologia, e il titolo scelto per la mostra – TUTTI NON CI SONO – si svela il concept attraverso il quale i curatori hanno composto e pensato il percorso della collettiva.
Tracciare uno spaccato sulle ultime tendenze pittoriche all’interno della scena contemporanea italiana è di fatto compito assai arduo. Nella contemporaneità è sempre complicato delineare la predominanza di una tendenza sulle altre, ci sarebbe bisogno di tempo e del suo scorrere, di una visione distante dall’alto capace di vincere la forza d gravità. In alternativa si può ricorrere ad una dimensione psicofisica mentale incentrata su una dimensione folle. Si può ricorrere alla pazzia, come stato mentale di indagine scevra e libera da preconcetti, pregiudizi e influenze varie.
TUTTI NON CI SONO prende liberamente spunto dal titolo di uno spettacolo teatrale che ha come protagonista un pazzo che, da detenuto in un manicomio, si ritrova libero per strada vagando senza meta, indossando un pigiama, delle pantofole, e con in mano una gabbietta vuota. L’uomo si fermerà solo davanti all’ingresso di un teatro, ritrovandosi in scena sul palco, libero di dar sfogo e forma verbale alla sua condizione di follia. La figura del folle, la pazzia come condizione mentale di estrema libertà, e il significato del numero Nove indicato dalla numerologia con la figura del “Liberatore” : non sono forse condizioni e figure metaforiche entrambe riconducibili al ruolo dell’artista ? La tela bianca o nera non sono forse come quella gabbietta vuota tenuta in mano dal protagonista della scena ? La pittura e la rappresentazione di una visione interiore non sono forse riconducibili alla libertà del folle pensiero ? Perdersi nelle visioni altrui non è di per sè un gesto altamente rischioso ? Il numero Nove è come un anticonformista che ama aprire la via ad altre visioni, a nuovi modi di pensare, ama ispirare gli altri per consentire il risveglio dei loro talenti.
Procedendo in ordine sparso di seguito alcune note sulle nove stelle … Beatrice Meoni (Firenze, 1960) si avvicina alla pratica pittorica dopo aver attraversato numerosi passaggi giungendo ad un particolare immaginario alla scoperta del corpo e del suo movimento. Una figurazione che si dilata in qualcosa che sembra avvicinarsi all’astratto, a seguito di un lavoro lento che provoca smarrimento.
Uno smarrimento che in Ettore Pinelli (Modica, 1984) si risolve in una fascinazione nei confronti della potenza di certe immagini cariche di violenza, nelle quali la tecnica è movimento ed espansione gestuale reiterato nel tempo. Ettore Pinelli nega e distrugge la rappresentazione attraverso la pratica della pittura e del disegno facendosi sovrastare da essa.
Dalla violenza della natura e dei suoi abitanti passiamo ad una natura morbida e vorticosa che emerge nelle opere di Francesco Zanatta (Treviso, 1989), dove forme evanescenti fondono realtà e pura immaginazione. La sua pratica pittorica trae ispirazione da luoghi che quotidianamente vive generando una nuova modalità di visione che parte dal vero per ribollire ed essere arsa, dall’occhio fino al gesto della mano che crea.
Simile ma differente è il risultato della pittura di Alice Faloretti (Brescia, 1992) dove spazi ibridi slittano tra realtà percepita e finzione, tra naturale e artificiale, tra conosciuto e ignoto. L’interazione tra realtà diverse genera spazi illusionistici, luoghi che sembrano ma non sono, caratterizzati da elementi familiari e allo stesso tempo estranei.
Ancora natura come soggetto principale e predominante nei lavori di Enrico Minguzzi (Bagnacavallo, 1981), nei quali ciò che colpisce chi guarda è il desiderio di rappresentare la luce offrendo una realtà sublime, febbrile, enigmatica, estatica, dove l’artista indaga i processi di mutazione e metamorfosi.
Una natura antropica appare invece nei lavori di Maria Giovanna Zanella (Schio, 1991) dove l’uomo al centro della rappresentazione è carne e sesso. Un uomo il cui ventre inteso come fulcro visivo, sospeso fra la testa e i genitali, è centro geometrico figurato, carnale e spirituale, abbondante e lussuoso.
Dalla voluttà dei corpi ad una dimensione intimamente profonda con la ricerca di Amandine Samyn (Bruxelles, 1978) che ci proietta in una dimensione intima e familiare della pittura. Mescolando la precisione iperrealista alla sintesi del gesto libero, Amandine racconta di tranches de vie quotidienne, attimi che diventano il momento per una riflessione intensa sui rapporti e le relazioni, sulla fragilità dell’uomo e la continua mutevolezza del nostro essere nel tempo.
Alessandro Gioiello (Savigliano, 1982) si muove furtivo nelle stanze dell’arte, riformula e confonde l’essenza di grandi capolavori; il suo gesto mescola i piani d’osservazione, creando preziosi cortocircuiti visivi che mettono in scena l’essenza stessa dell’azione mnemonica. Le sue stratificazioni figurative compongono forme e visioni perse l’una nell’altra, creando associazioni di immagini apparentemente casuali ma tra loro concatenate, rimandi continui all’interno della nostra memoria collettiva.
Daniele Di Girolamo (Pescara, 1995) sposta l’indagine sui materiali e sulle loro potenzialità di trasformazione chimica e fisica. Vasche contenti una soluzione di solfato di rame, nella traccia blu-verdastra che questo lascia nel processo di essicazione ricordano l’immagine di una marina, soggetto classico della ‘grande pittura’, qui esposto come evocazione di una tradizione che passa oggi attraverso un rigoroso processo di innovazione.
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