FRAGILI CREATURE- Testo di Sole Castelbarco Albani
Nel lavoro di Enrico Minguzzi le forme non si costruiscono, si manifestano. L’artista non impone,
ma ascolta: lascia che siano le immagini a emergere lentamente dalla superficie, come se la tela
fosse un organismo vivo, capace di rispondere, di opporsi, di svelarsi secondo un tempo proprio. È
proprio questo passaggio tra intenzione e accadimento, tra progetto e imprevisto, a rendere il suo
gesto pittorico così radicalmente autentico. Minguzzi parla del proprio processo come di un dialogo
– un dialogo con la materia, con l’immagine che prende corpo quasi a sua insaputa, e che spesso
finisce per deviare del tutto dal pensiero iniziale. “Assecondo ciò che accade”, dice, e in questo
lasciar accadere si apre uno spazio di verità, dove l’opera smette di essere rappresentazione per
diventare presenza. Le sue opere sono perennemente in evoluzione, come se ogni forma che nasce
dalla tela fosse in stato di attesa, pronta a trasformarsi e a rivelarsi in nuove dimensioni.
Le creature che Minguzzi fa emergere dalla tela sembrano sospese nel tempo: non fossilizzate, ma
in un costante stato di trasformazione. Non sono esseri statici, ma vibrano di una vitalità che nasce
proprio da questa tensione tra ciò che emerge e ciò che rimane nascosto. Ogni sua opera è un atto di
apertura: un dialogo con la materia e con un pensiero che cambia forma, che cresce fino a rivelare
tutta la sua complessità. Una caratteristica peculiare della sua pratica è la rimozione della pittura, un
gesto che non è solo fisico, ma simbolico. Le sue opere sembrano farsi strada attraverso il tempo,
lasciando riaffiorare ciò che era nascosto, ciò che era sepolto sotto la superficie. L’erosione non è
distruzione, ma una forma di restituzione: è il gesto di fare emergere ciò che è stato sottratto, di
ricongiungere il visibile con l’invisibile. Le sue opere non sono mai statiche, ma vibrano di una
vitalità che nasce proprio da questa costante tensione tra il nascosto e il rivelato. La rimozione
diventa un atto di vitalità, un gesto che dona una nuova energia all’immagine, che le consente di
vivere e crescere, proprio come una maschera che, pur rivelando solo frammenti di sé, rivela
un’anima più profonda e misteriosa.
Le creature di Minguzzi, nuove specie in continua evoluzione, sono spesso frutto di contaminazioni,
dove la natura e l’intervento umano si fondono in un’armonia inquietante. Minguzzi non si limita a
essere testimone di questo processo, ma lo esplora con una sensibilità che riflette sulle possibili
traiettorie future della nostra realtà, dove tecnologia e natura si intrecciano, creando scenari che
oscillano tra il fantastico e il reale. Non si tratta solo di un’osservazione, ma di un continuo dialogo
tra ciò che è e ciò che potrebbe diventare, tra l’umano e il non umano, tra la vita e la morte. Le sue
opere non ci raccontano una distopia, ma ci pongono di fronte a un futuro prossimo in cui l’ibrido è
la chiave della nostra evoluzione. Le sue “creature” sono, infatti, il risultato di un processo di
ibridazione, dove l’artificio non annienta la natura, ma ne fa parte, ne diventa un’estensione, un
altro passo di una continua evoluzione.
La contaminazione è per Minguzzi una risorsa estetica che genera nuove forme di bellezza. L’ibrido
non è solo una fusione di materiali, ma una ricerca di equilibrio tra ciò che sembra opposto. È nella
contaminazione che l’artista trova una nuova armonia, un equilibrio fragile che racchiude in sé la
possibilità di una bellezza inaspettata. Le sue opere non sono solo un commento sull’alterazione dei
cicli naturali, ma un invito a riflettere su come la combinazione di elementi disparati possa generare
un nuovo ordine, una nuova vita. In questo gioco tra la materia e la forma, le sue opere diventano il
luogo in cui la bellezza si fa inaspettata, non solo per ciò che appare, ma per come nasce dal dialogo
tra ciò che si mescola, si scompone e si ricompone.
Le sculture di Minguzzi, nate dalla stessa tensione che anima i suoi dipinti, sembrano voler uscire
dalla tela e conquistare uno spazio tridimensionale, dove la materia prende forma e si relaziona con
l’ambiente circostante. L’idea che la scultura possa vivere, crescere e trasformarsi in un nuovo
ecosistema è una delle sue sfide più affascinanti. Sarebbe un progetto ancora in divenire, che
immagina le sculture come creature destinate a entrare in relazione con la natura, a contaminarsi, aessere invase dalla vegetazione e a trasformarsi nel tempo, fino a diventare parte di un ecosistema
vivo e in continua evoluzione.
Il senso di sospensione temporale che pervade le opere di Minguzzi non è frutto di un’intenzione
concettuale, ma di una naturale evoluzione del suo processo creativo. Ogni sua opera sembra essere
sospesa tra l’essere appena nata e il poter evolversi all’infinito. Non esiste l’idea di un passato
sepolto o di un futuro certo. Le sue creature sono sempre in potenziale divenire, sempre pronte a
espandersi, a trasformarsi. Le opere di Minguzzi non appartengono a un tempo definito, ma vivono
in un eterno presente, dove la crescita è continua e l’evoluzione non ha mai fine. Generano una
reazione viscerale, che oscilla tra l’affascinante e l’inquietante. Il pubblico è chiamato a confrontarsi
con una natura che sfugge alla comprensione razionale, una natura che, pur sembrando familiare, è
intrisa di un’oscurità che la rende aliena e misteriosa. Non si tratta di un invito alla meraviglia, ma
alla riflessione: un invito a scoprire in queste forme stranianti qualcosa di profondamente umano,
qualcosa che risuona in noi, ma che rimane sfuggente. Le sue opere sono il luogo di una tensione
irriducibile, un incontro con l’invisibile che ci costringe a riflettere sul nostro rapporto con la natura,
con l’altro, con l’ignoto.
Nel suo lavoro, la riflessione sulla natura è implicita, non dichiarata. Non c’è una denuncia, ma
un’apertura a una lettura che può essere personale e poliedrica. La sua arte non si schiera, ma
suggerisce, invita alla riflessione, lascia spazio per interrogarsi sul nostro rapporto con la natura e
sulle sue future evoluzioni. La natura che Minguzzi ci presenta non è romantica né idilliaca: è una
natura vibrante, instabile, in divenire, che non smette mai di sorprenderci. Le sue creature sono
fragili eppure potenti, destinate a vivere in un mondo che è tanto affascinante quanto inquietante.