FORESTA. Pittura Natura Animale
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FORLI’ / Inaugurazione mercoledì 6 settembre
6.9.17 – 8.10.17
GALLERIA MARCOLINI
Lorenzo di Lucido – Alessandro Finocchiaro – Giulio Catelli – Annalisa Fulvi
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FUSIGNANO / Inaugurazione giovedì 7 settembre
7.9.17 – 26-11-17
MUSEO CIVICO SAN ROCCO / COMUNE DI FUSIGNANO
2.1 Comune di Fusignano
Cesare Baracca – Lucia Baldini – Federica Giulianini – Martina Roberts
2.2 Museo civico San Rocco
Luca de Angelis – Giulia Dall’Olio – Cesare Baracca – Lucia Baldini
2.3 Raccolta targhe devozionali
Marina Girardi
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COTIGNOLA / Inaugurazione sabato 30 settembre
30.9.17 – 26.11.17
PALAZZO PEZZI / MUSEO CIVICO LUIGI VAROLI
3.1 Palazzo Pezzi
Marco Samorè – Silvia Chiarini – Giovanni Lanzoni – Giulio Zanet
Marco Salvetti – Jacopo Casadei – Antonio Bardino – Matteo Nuti
Vera Portatadino – Giovanni Blanco – Domenico Grenci
Debora Romei – Marco Andrighetto – Denis Riva
3.2 Palazzo Sforza [solo] Rudy Cremonini
3.3 Casa Varoli [solo] Alessandro Saturno
Massimo Pulini – Alberto Zamboni – Vittorio D’Augusta
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FAENZA / Inaugurazione venerdì 13 ottobre
13.10.17 – 12.11.17
MIC MUSEO INTERNAZIONALE DELLE CERAMICHE
[solo] Lorenza Boisi
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BAGNACAVALLO / Inaugurazione sabato 14 ottobre
CONVENTO DI SAN FRANCESCO
14.10.17 – 26.11.17 5.1
Salette garzoniane [solo] Mirko Baricchi
5.2 Manica lunga [solo] Luca Coser – Lorenzo di Lucido
5.3 Primo piano Paola Angelini – Enrico Minguzzi – Elena Hamerski
Massimiliano Fabbri – Lorenza Boisi – Luca Caccioni
5.4 Sala delle capriate Veronica Azzinari
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RIMINI / Inaugurazione sabato 4 novembre
ALA NUOVA DEL MUSEO DELLA CITTÀ
4.11.17 – 16.12.17 [solo] Giovanni Frangi
Selvatico è una geografia fatta di luoghi e persone, e cose, se per cose si intendono i posti, le case, e i dipinti che fanno la mostra, gli oggetti e le storie e le tensioni, e il futuro anche, che sonnambulo e pulsante è nei musei.
Una mappa che congiunge una pluralità di spazi e artisti all’interno di un percorso che si disegna, snoda e ramifica attraverso una costellazione di mostre diffuse nel paesaggio e in alcuni dei luoghi del contemporaneo in Romagna.
Selvatico è un arcipelago e le sue mostre isole interconnesse.
Piccole città e musei, spazi espositivi e gallerie, edifici dormienti recuperati per l’occasione, contenitori e contenuti collegati da un progetto che tiene insieme e intreccia, un po’ ossimoricamente, arti visive e provincia intorno a un quasi tema; o suggestione. Più o meno nell’aria, segnale intercettato, basso continuo.
Selvatico stazione ricevente. Trasmissione.
A governare la mostra e le sue sezioni diffuse e articolate nel territorio, così come a orientare la chiamata agli artisti, è infatti un’immagine, aperta interrogante; un umore o desiderio: rilanciato, ingigantito, esploso e irradiante, tradotto e fatto a pezzetti, poi disperso e sparso in più direzioni. Divergenze e contrasti. Risonanze e affinità. In questo attrito dubitante l’esattezza.
Selvatico amplifica e asseconda questo disordine e caos, e cerca al contempo di mettere ordine riconducendo tutto a una forma unica, esemplare, una specie di mosaico in cui le parti si incastrano perfettamente e incontrano trovando e svelando corrispondenze potenti.
Con andamento centripeta che porta dentro, giù, in specie di gorgo; e un altro, opposto, che centrifugo allontana e allarga ed estende la visione fino a spingerla un po’ più in là.
Con suo andamento e crescita e sviluppo vegetale, bisognoso di tempo, aggiustamenti e assestamenti, scosse e perdite, e coltivazioni. E attese. Lentezza, certo.
Un modo di vedere che si definisce e precisa nel tempo e nello spazio dentro a punti di vista molti. Nell’incontro.
L’immagine di questa edizione di Selvatico è quella della foresta, intesa non tanto o non solo come sguardo rivolto a quell’attenzione che da parte di molti artisti si volge ancora e nuovamente alla natura e sua rappresentazione, e alla re-invenzione del paesaggio tutto per certi versi, ma anche e soprattutto come condizione della pittura stessa, linguaggio e dimensione che guidano la scelta, presenza e lavoro dei quaranta autori in mostra.
Una solitudine di foresta, plurale e molteplice, che si declina e infittisce via via addentrandosi e sperdendosi in una moltitudine di sguardi e possibilità, e che è anche metafora e riflesso dello stratificarsi in pelli, velature, notti interne e profondità radiografiche e quasi geologiche della pittura e del dipingere stesso.
Pittura come foresta quindi. Pittura che si sostituisce alla natura.
Pittura vs natura, a dire di un conflitto o impossibilità. Fratture e ferite che la pratica e disciplina del dipingere cercano di risanare e cucire. Preghiere. Mancanze. Esplorazioni. Distanze. Abbandoni. Assalti. La pittura come belva. Acquattata.
Animale.
La pittura è più intelligente di noi.
E l’idea di foresta che ci riporta infine alla condizione periferica e laterale, di selva appunto, che ha sempre caratterizzato Selvatico a partire dal suo titolo e dalla sua ostinata presenza e posizione ai margini, lontano dai grandi centri. Qualcosa che ha a che fare con una certa idea di confine e sua mobilità ambiguità. Bordi. Geografia ripensata attraverso il movimento. Risposta a un vuoto. Reazione. Una rete, per quanto abusata sia questa parola.
Una rassegna di campagna alle sue origini, dodici anni e dodici mostre fa, e che ora chiude un cerchio, a partire dal suo stesso titolo e sguardo non addomesticato, occhio che nemmeno si può dire del tutto selvaggio.
La parola foresta con il suo carico e bagaglio di immagini e narrazioni innesca così, incontrandosi e sovrapponendosi con pittura e disegno, una sorta di cortocircuito, un labirinto di senso e sensi capace di perdersi e definirsi nel dettaglio, nel frammento di natura, nel vortice e mantra della decorazione talvolta e, al tempo stesso, capace di interrogarsi sulla pittura stessa, sulle sue infinite modalità e significati e alfabeti, e fallimenti e potenti e ciclici ritorni. Pittura fiume. Riaffiorante. Inattesa.
Da una parte la presenza forte ripetuta rassicurante romantica inquietante stucchevole ricorrente di scorci di vegetazione e verdi molti nelle opere presenti, panorami e paesaggi, foglie, trame arboree, radici, nuvole, pezzi e lembi di cielo, orizzonti intravisti infiniti, vento, onde, dall’altra una foresta di segni e immagini che l’artista deve coltivare, far crescere e mettere in ordine, e poi abbandonare per strada anche, districandosi in essa per trovare il sentiero che orienta e conduce fuori dal bosco, e alla visione infine. O quel che ne resta. Perdendosi nel groviglio fitto di ombre, echi e fantasmi che la popolano, abitano e attraversano.
Pittura come tentativo di orientamento. E ascolto. Interno; e del mondo. Pittura come mediazione. Sforzo di equilibrio costante.
La pittura come foresta. Una foresta di immagini e segni senza fine: visioni che ci investono, travolgono e poi sedimentano sommerse nella memoria e nel tempo, come sepolte e perdute, e una foresta più concreta che parallelamente volge lo sguardo alla problematica rappresentazione della natura. Lieve forse. Invenzione del paesaggio ancora.
Una vacanza rispetto alla problematicità e drammaticità della rappresentazione del volto, e che ci permette di ricollocare le cose nelle giuste proporzioni, quasi in un improbabile tentativo di dimenticarci dell’uomo e della sua presenza schiacciante e invasiva sempre.
L’idea di foresta non può che essere così, per noi almeno, e soprattutto, un paesaggio mentale, luogo magico, misterioso e immaginario. Primitivo. Memoria della caduta. Oscurità fertile. Spazio domestico e selvatico al tempo stesso, abitato da ombre, scenario degli incontri e accadimenti, in cui si muove l’artista cercando possibili orientamenti, nuove piste. Incontri. Apparizioni. E storie forse.
Che la nostra esperienza del bosco non è certo così centrale nelle nostre vite anzi, eppure, nella fiaba, questo è il luogo drammatico e vitale per eccellenza, dove i fatti e il racconto accelerano. E la fiaba è lo scenario, l’innesco. La prima e paurosa e indimenticabile avventura. Luogo del ritorno. Incontro formante. Teatro. Costituzione della comunità.
Se nell’edizione precedente di Selvatico l’immagine del volto o della faccia, e maschera anche, della Testa che guarda, era qualcosa di conturbante che trovava nello sguardo doppio, nel vedere e nell’esser visti contemporaneamente dall’altro, il suo centro e fuoco di violenta bellezza, in questo caso l’immagine ora proposta vive invece di una moltitudine di centri o assenza esplosa e dispersa di questi punti: disordine e casualità apparenti, mancanza di vertici e approdi, superficie che permette una visione che si avvicina in qualche modo alla contemplazione e sospensione del tempo; condizione della pittura, immagine ferma in cui divagare e andare alla deriva, dove non sai.
Plurale e collettivo lo sguardo che innerva Selvatico, che costruisce mostre numerose che hanno al tempo stesso la presunzione di disegnare un andamento diverso e differente da quello di una semplice mostra collettiva, costruendo piuttosto una mappa, un arcipelago o costellazione di personali collegate e connesse tra loro e ai luoghi che le ospitano e accolgono.
Mostre che coinvolgono un nutrito numero di artisti di varia provenienza geografica e anagrafica in un confronto e dialogo fertile con una serie di spazi espositivi e luoghi del contemporaneo nella bassa Romagna da cui Selvatico nasce e si allarga. Una mostra diffusa in più sedi che guarda principalmente se non esclusivamente alla pittura, con rare e preziose ramificazioni nel disegno e collage; soprattutto a una pittura che prova ancora a misurarsi con la reinvenzione del paesaggio e, parallelamente, con la presenza centrale del segno, a creare un quasi ossimoro di una pittura disegnata.
Panorama di luce. Notturni.
La foresta radice-labirinto, il mondo che si capovolge, il sottosopra e il doppio, l’ombra di un’ombra, il labirinto delle idee e pensieri e immagini e pennellate attraverso cui deve districarsi e muoversi l’artista, e in cui lo spettatore sarà chiamato a sua volta a entrare tracciando altre geografie e narrazioni e mappe. Orientandosi nella foresta di segni e visioni. Congiungendo punti, cose viste e memorie. Affacciandosi su inaspettate finestre e aperture rappresentate sia dai dipinti inseriti nel percorso espositivo, sia dai luoghi recuperati per l’occasione e restituiti temporaneamente che, insieme ai musei presenti sul territorio e coinvolti dalle mostre, creano una rete che permette anche di scoprire, non solo gli autori e l’architettura vegetale e andamento e crescita e sviluppo della mostra, ma anche il territorio, le sue caratteristiche, le sue vocazioni e connessioni.
Un invito al viaggio. Piccolo. Tremante.